Ricerca e innovazione per recuperare l’antica arte tintoria ...
L’arte tintoria fa parte del sapere umano fin dai tempi arcaici. Bacche, foglie e spezie venivano usate per tingere i tessuti, ma nel tempo i colori naturali sono stati sostituiti da quelli chimici molto più economici e veloci da reperire ma decisamente inquinanti perché prodotti con il petrolio.
La sempre maggiore consapevolezza green porta oggi a riscoprire, in chiave innovativa, la possibilità di tingere i tessuti utilizzando prodotti vegetali senza l’impiego di sostanze chimiche.
Le piante tintorie sono moltissime, da queste vengono estratte particolari pigmenti in grado di tingere non solo tessuti ma anche pellami e capelli.
La specie tintoria più pregiata è il guado (Isatis tinctoria). Una pianta erbacea biennale, di origine asiatica appartenente alla famiglia delle Brassicacee o Crucifere dalle cui foglie si estrae il colore blu. Dopo l’anno Mille in Italia, in particolare nelle Marche e in Piemonte, si sviluppa una coltivazione intensa grazie alla grande richiesta di questa tinta, detta anche “oro blu” che ritroviamo nei velluti rinascimentali come negli antichi arazzi. Oltre che per tingere i tessuti – spiegano dal Museo del Tessile di Chieri - pare fosse utilizzata da alcuni artisti, come Piero della Francesca a Luca della Robbia, anche in forma di lacca di colore azzurro cielo”.
Il colore oro si ricava dai fiori della Anthemis tinctoria, nota come “camomilla dei tintori”, che sono ricchi di pigmenti. Mentre per il giallo si usano molte specie diverse fra cui lo zafferano, il cartamo e la curcuma.
Il rosso si ricava dalla robbia, una pianta erbacea di origine euro-asiatica che contiene il pigmento carminio nelle sue radici. Molto usato nell’antichità anche lo scotano (Rhus cotinus), chiamato “albero della nebbia” dalle sue foglie macerate, dalla corteccia e dai rami si estraeva un colore purpureo molto particolare.
La pianta dell’ortica, conosciuta per le sue proprietà mediche, rientra tra le specie tintorie: dalle sue foglie si ottiene un verde tendente al grigio, mentre la diffusissima edera regala lo stesso colore ma con toni brillanti.
Anche da alcuni alberi si ricavano colori, il più noto forse è il noce dal cui mallo si può estrarre il marrone, adatto anche per tingere i capelli. Dall’Haematoxylum campechianum, un albero di origine centro americana si estraggono invece toni scuri, che vanno dal nero al blu, partendo dal legno che viene triturato, bollito e fermentato.
Non solo piante e spezie, per tingere i tessuti in modo ecosostenibile si possono usare anche gli scarti alimentari.
Le scorze essiccate del melograno ad esempio possono essere utilizzate per ottenere sfumature che vanno dall’arancione al giallo freddo, la variabilità dell’effetto finale dipende dal grado di maturazione delle bucce stesse prima dell’essiccazione. Dalle bucce e dai semi di avocado si ottiene invece il rosa.
Il procedimento di tintura avviene solitamente mediante l’infusione delle erbe tintorie da cui si forma il “bagno di colore”.
Per estrarre il blu dal guado, gli antichi tintori raccoglievano le foglie che venivano fatte essiccare, macinate e ridotte poi in poltiglia che era veniva confezionata in panetti “le cuccagne”, facilmente commercializzabili. Per attivare il processo tintorio i panetti ottenuti venivano fatti macerare in barili pieni di acqua calda a cui si aggiungeva un catalizzatore (cenere, allume di rocca, calce o orina) per favorire la fermentazione. I filati venivano poi immersi in questo bagno tintorio ed esposti all’aria e alla luce, in modo tale che l’ossidazione facesse esaltare e fissare il colore.
La tintura green funziona sulle fibre naturali come canapa, cotone, lana, lino e seta mentre le fibre sintetiche non assorbono il colore dai coloranti naturali. Lana e seta vengono semplicemente immersi nel colore mentre tessuti come canapa e lino hanno bisogno di un processo di mordenzatura (i capi vengono fatti bollire in una soluzione di acqua e sale oppure aceto o bicarbonato) che rende solubile in acqua il colorante facendolo penetrare nelle fibre. A questo punto si procede con il bagno tintorio immergendo il tessuto nel bagno di colore. L’intensità del risultato dipenderà dal tempo di immersione e dalla quantità di materia prima utilizzata, ma dipende anche dalla tipologia di tessuto, ad esempio lana e canapa non assorbono i colori allo stesso modo in caso di tintura del giallo sarà più vivo in un caso e più blando nell’altro.
Diversi i progetti di agricoltura del colore attivi in tutta Italia. Conoscenze antiche, sperimentazioni e innovazione per una riscoperta in chiave sostenibile dell’antica arte tintoria, sfruttando le proprietà coloranti di piante ed erbe. È la chimica a farla da padrone nella moderna produzione del colore naturale con la valutazione del PH, delle temperature, dell’ossigeno e della composizione del terreno.
La coltivazione e la trasformazione di piante tintorie, finalizzate alla produzione di estratti di colore vegetali per il tessile, si inserisce nel fiorente mercato dell’artigianato-tessile italiano, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per l’alta qualità dei prodotti offerti. Inoltre la coltivazione di piante tintorie permette anche di sfruttare e riqualificare aree rurali marginali, oggi abbandonate, contribuendo alla loro sopravvivenza socioeconomica. Una produzione green con interessanti risvolti economici e che fa bene all’uomo, evitando allergie e intolleranze prodotte dai colori chimici, e soprattutto all’ambiente perché Il colore naturale è rinnovabile e a impatto zero.